MOSTRA FOTOGRAFICA
"ETIOPIA IL VERO VOLTO DELL'AFRICA ANTICA"
Ostuni 1-30 agosto 2010 - Palazzo Cirignola C.so Mazzini
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“La
vita è un viaggio e viaggiare è vivere due volte”.
E’un detto di un filosofo persiano a cui mi
riferisco
per raccontare
l’esperienza di questo viaggio meraviglioso quasi a
trasportarmi in
un’altra vita dove ho osservato natura e uomini
nella loro “essenzialità” e “ricchezza”.
Il paesaggio è di rara bellezza:
la vegetazione lussureggiante avvolge tutto; le
capanne circolari sono disseminate qua e là fra le
dolci onde verdi; il silenzio e il cielo languido
sfumano questo paesaggio che appare incantato e
fuori dal tempo…Percorrendo la valle dell’Omo ho
conosciuto una varietà di popoli africani che
comunicano, oltre alle loro tradizioni, una grande
umanità. È consueto vedere gente che si sposta a
piedi lungo le strade con in spalla o in testa i
carichi più svariati per raggiungere la propria casa
(capanna), o un pascolo a cui condurre le bestie, o
un mercato.
Ognuna delle ripetute soste per
fotografare il paesaggio finisce per essere
opportunità di contatto, ed è stupefacente come
bastino pochi minuti per vedere accorrere da ogni
direzione gente che ti scruta e che spera in qualche
benevolenza. Discendendo per l’Omo River mi sono
addentrato nel cuore di questa terra selvaggia, un
emozionante incontro con “natura e culture etniche”.
Osservare la vita sociale dei popoli che la abitano
è un confronto forte con la nostra modernità e un
momento di grande riflessione. I Mursi,gli Ari, gli
Hamer, i Banna, i Konso… sono solo alcune delle
interessanti etnie presenti che da secoli conservano
tradizioni e riti come se il mondo attorno non
esistesse.
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Non
c’è televisione, né telefono, non ci sono i
giornali, né ci sono lingue scritte, solo lingue
parlate appartenenti a ceppi diversi e il
linguaggio dei loro corpi dipinti, delle
acconciature sofisticate, delle deturpazioni, dei
piattelli labiali e auricolari, delle
scarificazioni, degli abiti in pelle adorni di
perline e conchiglie. La cura del corpo come quella
per le mandrie, unici beni disponibili, sono
assolute. Noi uomini bianchi, con i nostri
corpi ci sentiamo inevitabilmente elementi
estranei e dissonanti fra i loro corpi dalle forme
perfette ed armoniche, dove la pelle scura dipinta
con terra color bianco, ocra e rossa è un vestito di
bellezza assoluta e di primordiale sensualità. Anche
le deturpazioni, le cicatrici, le frustate,
possono essere giudicati come usanze barbare e
primitive, e sicuramente lo sono per noi, ma per
queste popolazioni significano soprattutto identità
e senso di appartenenza, qualcosa che noi, uomini
della modernità, abbiamo in parte perso.
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Un clic, magari con
la complicità della magia del colore, non
semplicemente per cogliere un attimo, ma per
mostrare le mille sfumature di questa terra. Una
foto come mezzo per raccontare, per scavare nell'
intimo della gente, quella che ogni giorno si muove
verso confini inesistenti creati dall'uomo. Un clic,
per raccontare una parte di Africa, quella vera,
quella che pochi hanno toccato con mano, quella
vista con gli occhi del cuore di un uomo che
cammina con la macchina fotografica al collo.
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ORVIETO
CONCORSO INTERNAZIONALE
FIOF
2010
"Professional Photography Awards"
VINCITORE del
premio "Gold"
nella sezione reportage
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IL SALTO DEL TORO
Siamo in terra Hamer. Gli uomini hanno
fisici atletici, si dipingono con terre e
pigmenti vegetali color ocra e bianco e
indossano elaborate acconciature. Le donne
sono vestite di pelli, adorne di conchiglie,
pesanti collari e bracciali, i capelli
impastati d’argilla. Praticano riti di
iniziazione, fra cui il famoso salto del
toro: il ragazzo iniziato deve ‘saltare’ per
quattro volte, senza cadere, una decina di
tori affiancati correndo sulla loro schiena.
Un gruppo di giovani donne ballano
scatenate, al suono di trombe di latta: sono
eccitatissime, hanno i corpi lucidi e sudati
e le schiene sanguinanti. Con aria
provocante e spavalda porgono ai giovani
uomini dei rami lunghi e flessibili
chiedendo di essere frustate: non un
lamento, non una smorfia di dolore, ma anzi
la richiesta di nuove frustate. Sono le
giovani parenti dell’iniziato che gli
dimostrano così il loro affetto: le
cicatrici rimarranno a testimoniare il loro
valore. I “maz”, i giovani già iniziati,
preparano
la cerimonia e
incoraggiano il ragazzo.
Il giovane
salta sui tori
velocemente
quasi sfiorando
i dorsi degli animali. Se ce la farà sarà
accettato dalla comunità e diventerà
futuro marito
se non ce la farà
rimarrà un
reietto della sua tribù,
perché non
completare il salto del toro comporta lo
scherno per il resto della vita.
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